I Good Charlotte sono tornati nel 2016, ma ce ne siamo accorti solamente nel 2018.
Un garbato scappellotto al riporto più virtuosistico che sia mai stato concepito in un laboratorio. Il Presidente Trump e la sua politica anti-immigrazione danno apparentemente voce a un’America spaventata e lasciata a pasturare nella propria stessa ignoranza (ma ci sarà anche qualche altra spiegazione per la sua elezione democratica, o no?).
I gemelli Joel e Benji Madden sono tornati in piena attività nel 2016, ma evidentemente non hanno girato i videoclip giusti. Anche qui, c’è il rischio di fare un buco nella broda della retorica progressista altamente sospetta – specie se l’artista di turno usa una canzone in sostanza mediocre per supportare qualcosa di potenzialmente buono.
Tuttavia, c’è di mezzo la beneficenza e la voglia di tutelare i poveri disagiati campioni di sacrifici e bocconi amari; lasciamo allora perdere se la ballad così poteva avere un senso commerciale nel 2000. I Good Charlotte oggi sembrano fuori tempo massimo come i Manowar, ma sotto sotto riescono genuini nelle intenzioni. Se non possono scalare più le classifiche con qualche singolo miracoloso e ruffiano, almeno che usino il proprio spazio per dire qualcosa di sociale e politico.
C’è davvero tanta brava gente che si fa un culo così, in America. E sono cittadini orgogliosi quanto gli scorreggiafagioli texani di otto generazioni. E noi, simpatizzanti dei reietti, apprezziamo entrambi.