La tristezza è bella quando dura poco.
È vero, la felicità è puttana e quasi mai rilascia regolare fattura, ma anche fare della fedeltà alla malinconia un mestiere alla lunga stanca e finisce che ci devi pure pagare i contributi.
Lo spiega meglio Julia Jacklin: «Mi sono buttata subito sul folk, quindi le uniche esperienze che fino a oggi ho avuto su un palco sono riconducibili al cliché “ragazza sola con chitarra che suona musica triste”. Deve essere per questo che a un certo punto ho pensato: chissà come ci si deve sentire a riuscire a far star bene le gente che ti ascolta, a farla ballare addirittura…».
Nel senso, quando hai venticinque anni ed esordisci con un debutto che riscuote un immediato successo tra gli irriducibili del genere, al punto da ritrovarti sommersa dagli applausi di gente che potrebbe essere tuo nonno durante la tua prima apparizione in venerate (e venerabili) rassegne come il Newport Folk Festival, due domande – prima di morire acustica – magari te le fai.
Poi, da lì a ricontattare due vecchi amici di infanzia e chieder loro di formare una band un po’ scazzona da chiamare con due parole che non esistono in nessun vocabolario di inglese, è un attimo.
Nati quasi per scherzo, tra i tavoli del Frankie’s Pizza di Sidney, come un “drunken agreement” tra la giovane australiana, Elizabeth Hughes e Ryan K Brennan, i Phantastic Ferniture in poco più di un anno sono diventati – pur rimanendo coerenti con l’iniziale patto di disimpegno: «Don’t overthink it!» – qualcosa di decisamente più serio, così serio che a fine Luglio è prevista l’uscita del loro omonimo primo album.
Il singolo che lo anticipa mantiene esattamente quello che promette, ovvero un indie rock giocoso che se volete potete definire “garage pop”, ma non rende l’idea. Fortuna che, quando siamo a corto di parole, ci vengono in aiuto le immagini; nello specifico, il video girato da Nick Mckk, verosimilmente seguendo uno script all’altezza della situazione: “Vagabondate per il quartiere facendo i cretini, l’importante è che sembriate contenti e spensierati, anche a costo di risultare ridicoli”.
Ne esce una specie di parodia scanzonata del video di The Suburbs degli Arcade Fire, interpretato però dai figli degli Hanson, vestiti con i costumi dei padri. La notizia è che funziona alla grande, perché – nonostante le giustificatissime perplessità di partenza – nemmeno te ne accorgi, eppure all’attacco del primo ritornello sei già lì con loro, a scorrazzare sui marciapiedi della periferia della vita, senza troppe menate in testa né una destinazione precisa in mente, ma solo un unico, ben confuso programma per la serata: fuckin‘n’rollin.