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Kodaline: Shed a Tear
Una splendida giornata, sempre con il sole in faccia fino a sera

Una canzone perfetta per decidere come morire nell’Applestore di Dublino.

Lascia perplessi, questo brano & video dei Kodaline. C’è il cantante in una grande stanza. Sta dicendo cose profonde, toccanti. Poi c’è una cadenza spiritual con cori di angeli neri intolleranti ai fagioli, da qualche parte nella memoria strutturale del capannone. Lui sembra un bel fighetto degno di una boyband da superchart. Forse da qualche parte c’è il resto dei maschioni che danzano e virano le mani come vigili dell’interspazio. Però non si vede che lui. E poi ci sono differenti fisicità a contrasto. C’è un uomo di rara bruttezza, con la barba e i capelli da hipster, che si allena pigliandosela con le correnti pulviscolari. E c’è uno che sembra soffrire di qualcosa al perineo dell’anima: dove per buona creanza o per impossibilità fisica non si riesce mai ad avere la meglio con una grattatina.

La canzone è buona come score per il toccante video di X Factor in cui una ragazza calabrese, con genitori separati e un trascorso in una comune di coltivatori diretti di semi di lino, ha fatto tutta la strada in autostop fino a Milano e non si fa un bidè da due mesi, ma canta da paura e si prende quattro “sì”. Però è brutta e al Bootcamp la cacciano.

I Kodaline creano queste ballate di espansione emotiva, in cui gli avventori in un caffè del centro indugiano in qualche giro di troppo con il cucchiaino e pensano a quanto la loro vita sia così piena di aspettative disattese, ma non collegano quello strano calo di umore e quei pensieri tersi di prima mattina al brano della band irlandese che, infidamente, li ha raggiunti per i canali frivoli di un altoparlante nascosto tra l’Amaretto di Saronno e la Vecchia Romagna.

Non sappiamo cosa ne faremo di questo tears-pop tra vent’anni, quando il vintage significherà Kodaline, ma per ora lasciamo che ci scivoli addosso come una doccia sonora tiepida, senza improvvisi sbalzi verso l’acqua fredda o calda del pensiero folgorante, ispirato, vivo. Il pezzo gira in una specie di spirale della commozione sintetizzata. Chissà perché se c’è di mezzo l’Irlanda uno si aspetterebbe di vedere con gli occhi dell’anima le vallate dei Teletubbies popolate di Darby O’Gill all’ultimo stadio cirrotico e un gregge di infidi folletti del buon popolo. Qui, invece, c’è un centro commerciale a Dublino con dei ragazzi in stile Gus Van Sant che girano per le corsie degli Apple e si tormentano il mento glabro pensando al codice della Postepay di mamma che non ricordano più.

Kodaline 

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