Fa ciò che vuoi sarà tutta la Legge.
È arrivato il Thriller dei video italiani, ed è pieno di zombie: sono le celebrities.
Coi suoi nove minuti – quasi cinque dei quali, privi di musica – il kolossal di Fabio Rovazzi, il primo dopo la cacciata dal paradiso dei fratelli maggiori Fedez & J-Ax, risulta una creatura strana e discontinua come il gracile videomaker milanese, ma ben più ambiziosa della madornale poveracciata che i due ex soci hanno venduto al Cornetto Algida. Non che l’allievo da questo punto di vista si discosti molto dai maestri: il product placement è così onnipresente da diventare ormai esplicita parte del discorso sul successo, che è l’unico discorso possibile oggi nella musica italiana, vista anche la crisi dei discorsi sul meteo portati avanti coraggiosamente da Negramaro e Modà.
Ma quando Rovazzi fa questo discorso, vi aggiunge una specie di spaurita malinconia derivante dalla certezza che altri modi di essere non esistano: la sola strada che conosce, per quanto contraddittoria possa sembrare, è svendersi il più possibile rimanendo il più innocenti possibile (e forse per questo Gianni Morandi, punto di partenza dell’intera mini-odissea, è colui che svela il segreto all’inizio di questo opus magnum).
Parlare della canzone da sola sarebbe paradossale: in realtà è meglio del video, e ha diverse intuizioni sorprendenti (su tutte, l’uso delle tre voci ospiti: Emma, Nek e Albano). Ma per quanto Danti dei Two Fingerz metta una grazia insolita e rétro in un tormentone estivo destinato a misurarsi con concorrenti orgogliosi della propria cafonaggine sonora, è il video a essere cruciale per un nonmusicista dichiarato come Rovazzi.
D’altro canto nel 2018 YouTube è la fonte di musica che vale mille volte tutte le altre messe assieme, e l’universo di Rovazzi è giustappunto quello dei YouTubosi, che anche stavolta infestano il suo video in cambio di – è il caso di dirlo – visibilità. Un miliardo degli Youtuber scelti tra i cento miliardi di Youtuber più famosi e ghignosi d’Italia portano il loro ghignoso, ironico nulla di nulla in un video che impasta meme e citazioni visuali a velocità sostenuta. A che scopo? Difficile dirlo: questa cultura, per motivi anagrafici, è l’unica che Rovazzi possieda e non ha un senso: va per tentativi finché non ne azzecca uno per caso, come ha ormai scelto di fare la cultura pop.
La gratuità assoluta delle celebrities di passaggio, da Diletta Leotta a Flavio Briatore, da Fabio Volo a Carlo Cracco, è insieme deprimente e magistrale per un brano che ruota attorno alla paura di non avere più idee. Ma se da un lato pare di vedere una fastidiosa versione 2.0 (si dice ancora?) dei cinepanettoni nella fase dei camei più effimeri (da Dylan di Beverly Hills a Megan Gale), dall’altro non si può non riconoscere che questo di Rovazzi è una specie di stato dell’arte di quanto il pubblico, specie quello più giovane, si aspetta oggi da tutto quanto: spettacolo, informazione, politica, cultura, esistenza. «Del testo non ho bisogno», perché nel continuo correre da un famoso all’altro, da una ghignata all’altra, «Aspè vado di corsa, è tutto un copia-incolla».