“Cat Power è la voce dell’America”. Insomma, ‘na robetta.
Settantanove secondi: questa la durata del teaser che preannuncia il nuovo album di Cat Power che uscirà a ottobre.
Settantanove secondi di Wanderer, il titolo di questo brano e del disco intero.
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Settantanove secondi, dopo sei anni di silenzio discografico. Che non sono pochi, ma nemmeno troppi.
Settantanove secondi, tra gospel, folk e una voce. Quella voce.
Settantanove secondi che fanno immediatamente intuire che Charlyn Marshall ha messo da parte le influenze più elettroniche, dominanti nel precedente Sun, per tornare a un “formato canzone” più acustico e diretto che si ricollega idealmente con i suoi primi lavori.
Settantanove secondi che riaffermano, ce ne fosse poi davvero ancora bisogno, che senza Cat Power più di metà delle folk singer contemporanee sarebbero ancora nelle proprie camerette, lolite cresciute senza nemmeno un briciolo del suo talento.
Settantanove secondi, il tempo che di certo non ci mise Sean Penn a dire qualche tempo fa: «Eddie Vedder è la voce dell’America».
Settantanove secondi, il tempo che di certo non ci metterò io a scrivere che Cat Power è la controparte, femminile, di Eddie Vedder.
Cat Power è la voce dell’America.
Settantanove secondi dove disegna immaginarie traiettorie che partono dalle polverose strade americane e arrivano ai bicchieri mezzi vuoti lasciati sopra il bancone dei bar, ai lati delle grandi autostrade. E ancora, i letti delle camere dei motel sfatti alla mattina, i “pink flamingos” con le ali spezzate fuori dalle case dell’ex classe media, la sbiadita bandiera a stelle e strisce appesa fuori dai distributori di benzina.
Tutto questo in soli, uhm, settantanove secondi. (E, nel frattempo, anche negli oltre quattro minuti di Woman, in compagnia della sempre languida Lana Del Ray)