La fine del mondo e perché vale la pena aspettarla.
La complicata narrativa da creare attorno al “misterioso produttore” è ormai poco più che un cliché. Poteva funzionare agli albori di internet, ma oggi suona un po’ ridicolo e già visto (quando con un semplice account GMail o Facebook ti sei già fottuto l’intero il carnet di dati personali che la società di ha lasciato in dote; i tuoi e quelli di tutta la tua famiglia, per essere precisi). Nonostante questo, viene ciclicamente replicata ogni paio d’anni anche se, in termini di qualità, le statistiche dicono che il gioco non vale troppo la candela. In altri termini, per trovare un Burial tocca sorbirci almeno cento Liberato.
Gli Amnesia Scanner hanno giocato con mano pesante, in questo senso (un sito che per lungo tempo è stato niente’altro che un mix cacofonico di visual improponibili, comunicati stampa pieni di link senza nome che portavano a sospetti file su Mediafire o a homepage di archivi di molecole biologiche tridimensionali…), senza paura di scottarsi con la fiamma della già citata candela, forti di una proposta musicale a suo modo unica, capace di mettere in secondo piano tutta la retorica infantile del teatrino costruito attorno alle loro vere identità. Un’elettronica organica, claustrofobica e disorientante, estremamente densa ma mai troppo complessa, urticante e indefinibile, che va ben oltre la ridicola definizione di “neo-savage avant-EDM” senza mai oltrepassare quella soglia proibita al di là della quale diventi imballabile.
Il gioco di sui sopra è anche bello quando dura poco, così oggi abbiamo scoperto che dietro la consolle si celano Ville Haimala e Martti Kalliala, siamo capaci di geolocalizzarli con una certa precisione – diciamo finlandesi mai ormai stabilmente trapiantati a Berlino – e conosciamo il loro curriculum precedente (gli inizi come Renaissance Man, gli intrallazzi con il collettivo Janus, la collaborazione con Holly Herndon). Non molto, ma sempre meglio di niente.
Le prime uscite a nome AS (un anagramma del loro precedente moniker) sono comparse online nel 2014. Da allora: due EP, una roba che se volete potete chiamare “podcast” anche se sembra più la versione horror-tecnofuturistica di un vecchio radiodramma RAI, e un’altra cosa che è stata vagamente confinata nel recinto dei “progetti multimediali”, ma in realtà è un trip digitale senza fine (sta online – qui – e non c’è modo né di metterlo in pausa né di scorrere avanti o indietro). Nemmeno un disco intero, insomma. Eppure son riusciti lo stesso un paio di volte a finire nelle migliori classifiche degli album di fine anno.
Lo so: viviamo in un mondo incoerente.
Accontentiamoci quindi almeno del fatto che il tanto attesto full-length sta per arrivare: si chiamerà Another Life e AS A.W.O.L. ne è solo un assaggio, che altro non fa che confermare il talento visionario dei due, sempre perfettamente in bilico tra le due facce storte del concetto di “no hope”. Un rassegnato avvertimento in vista dell’apocalisse che incombe o il semplice invito ad aspettare la fine del mondo tutti sudati sui resti di un qualche dancefloor?
Entrambe le cose, ovviamente.