La paranoia incravattata, pronta a travolgerci di nuovo. E noi qui, a braccia aperte.
«Come and see me / And maybe you’ll die».
Attacca così, con il solito irrefrenabile ottimismo, The Rover, il nuovo singolo degli Interpol. Anticipa Marauder, il sesto album, in uscita il 24 agosto a quattro anni di distanza dal precedente, El Pintor. Soprattutto, esce dopo il tour che li ha portati in giro per il mondo a celebrare il quindicesimo anniversario del loro celebre debutto Turn on the Bright Lights.
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Diciamolo subito: un pezzo noiosetto e senza molto mordente, oltre a ricalcare un po’ troppo la struttura di All the Rage Back Home (singolo che anticipava El Pintor). Tutti elementi che, paradossalmente, depongono a favore del nuovo disco, perché è noto che, nel mondo Interpol, i singoli siano quasi sempre la parte meno interessante dell’intero lavoro.
Abbiamo un nuovo e caldissimo Paul Banks, pronto a convertire le sue innumerevoli paranoie in pregevoli trattati sui vizi dell’umanità, un Daniel Kessler che non invecchia mai, sempre al timone del gruppo, e il fiammante Sam Fogarino, con il suo basso chiacchierato.
Chi scrive non sposa l’idea diffusa che gli Interpol siano finiti dopo Antics (2004) o, semplicemente, dopo la dipartita del bassista storico Carlos Danger. Folle rimpiangere uno che se n’è andato otto anni fa (non ieri).
È indicativo, però, che a questo giro abbiano deciso di affidarsi totalmente a un produttore, Dave Fridmann (membro fondatore dei Mercury Rev e al mixer per Flaming Lips, Tame Impala, OK Go). Con lui, la band ha lavorato quasi sempre in presa diretta, senza troppi edit, in uno studio a pochi chilometri da Buffalo, durante uno degli inverni più rigidi che quella parte degli Usa abbia visto.
Siam pronti e abbiamo grandi aspettative su Marauder: la parte di Banks che, per usare le sue stesse parole, “meglio rimanga in una canzone”.
(“Marauder” inteso come carro armato, non come chitarra)