Gaspard Augé, Xavier de Rosnay: con dei nomi così, non puoi non fare musica “elegante”.
Da una decina d’anni almeno, il nome “Justice” suscita sensazioni contrastanti da parte di chi frequenta elettronica e club culture: da una parte, quelli che li amano incondizionatamente, dall’altra, quelli che, a solo sentir pronunciare il loro nome, hanno un conato di vomito.
La sottoscritta appartiene alla categoria “adulatori assoluti”, il che rende ogni tentativo di oggettività molto, molto vano.
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Con tre album alle spalle, una cifra estetica al neon molto ben definita – specie nel loro impianto live – e un approccio che c’entra zero con la figura del “Superstar DJ”, i Justice hanno delineato un percorso preciso: raccogliere l’eredità dei Daft Punk e restituirla sotto forma di videogame. Non per nulla, c’è chi li conosce solo per aver giocato a Need for Speed: Undercover.
Da † (Cross) in poi (l’impareggiabile album di debutto del 2007), i Justice hanno calato una coltre di epica e marzialità sulla French touch. Hanno, in pratica, setacciato l’hard rock col filtro della dance music, aiutandosi col famoso “bassone alla Justice”, quello che ti urta direttamente la cistifellea.
Il nuovo singolo Stop, blando e leggero, ha poco ha a che fare con la parte più imponente ed elaborata della loro produzione, e sposa l’altra faccia dei Justice: quella più radiofonica e amica dell’estate. Fa parte di Woman Worldwide, una rivisitazione in studio dell’album Woman del 2016, alla luce di nuovi spunti raccolti durante i concerti. In pratica: un “best of”. Contiene infatti anche certi loro punti fermi risuonati, come DVNO, Audio Video Disco e Dance.
E pensare che tutto era cominciato da un fallimento: questo remix, presentato a un concorso e rifiutato. Per poi diventare, nel 2006, un classico incrollabile della club culture.