Dinosauri vivi, vegeti e ispirati.
Fu il diavolo a piazzare i dinosauri sulla terra, dicevano qualche anno fa. E non si sa quanto questo sia ancora buono per coloro che molto spesso vengono considerati tali. Mostri sacri. Leggende. Miti. Forse per la stazza, forse per il tempo passato in cui dominavano i loro territori, forse anche per il dibattito sulla loro estinzione.
Sono già più di trenta, gli anni intercorsi dalla nascita del gruppo americano. Nonché sedici dalla morte del loro frontman storico, nove dalla riformazione e cinque dall’ultimo album in studio. In mezzo, svariati milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
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Numeri importanti per arrivare, dunque, a ciò che in realtà già si conosce (ma non cessa di stupire in positivo): gli Alice In Chains dell’era William DuVall. Un personaggio a cui si è voluto bene fin da subito, nonostante la posizione scomoda che andava a occupare. I due lavori del rientro – in particolare Black Gives Way to Blue del 2009 – non sono stati affatto male: una delle poche volte in cui l’operazione di recupero di un nome storico abbia portato a risultati artistici del tutto soddisfacenti.
In The One You Know, ancora una volta, il riff di Jerry Cantrell è quello giusto e il ritornello e le voci funzionano immediatamente, ma senza calligrafismo gratuito: sono i “soliti Alice”, per il marchio di fabbrica inimitabile e l’elevata qualità compositiva, ma non è la “solita canzone degli Alice” (ed è bello riascoltarla per cogliere sfumature e sottigliezze preziose).
Il DNA dei dinosauri di Seattle unito a un’ispirazione sempre e comunque contemporanea: mentre Layne Staley riposa in pace, come gli auguriamo, la lezione di credibilità degli Alice In Chains prosegue brillantemente.