Bentornati, nonostante tutto.
Quando si usa la parola “iato”, parlando di una band, in genere si fa riferimento a un break, una pausa di riflessione, un’interruzione dell’attività musicale per un tempo più o meno indefinito. In pratica, è un modo radical-chic di spiegare che il gruppo si è sciolto, ma già si teme una reunion. Per dire, i Tool entrano puntualmente “in iato” tra ogni disco e il successivo: così, per non far calare la tensione.
Lo iato degli Snow Patrol è durato sette anni ed è stato un po’ più complicato del previsto, dato che Gary Lightbody li ha passati, nell’ordine, a: 1) sniffare cocaina 2) bere come una spugna 3) smettere di sniffare 4) smettere di bere 5) deprimersi perché che senso ha una vita senza droga e alcol? 6) riprendersi dalla depressione senza ricominciare ubriacarsi e a tirar su strisce di svariati centimetri di lunghezza 7) buttar giù qualche idea per un album nonostante il conseguente “blocco dello scrittore”, dovuto all’elevato numero di neuroni bruciati.
Poi è andata che è tutto bene quel che finisce bene, nel senso che Wildness uscirà a fine Maggio e il (non più) ragazzo sembra stare decisamente meglio, anche se ha capito che questo nostro pianeta non è esattamente il posto più adatto per prendersi cura del proprio equilibrio: troppi milioni di copie venduti, troppi dischi di platino, troppe nomination a Grammy, Brit Awards e Mercury Prize.
Troppe tentazioni, insomma: o hai l’esperienza di Chris Martin in materia o rischi di sbroccare sul serio. E allora meglio un ritiro ascetico nello spazio, a guardare la Terra da lontano, crogiolandosi in dubbi amletici del tipo «Shouldn’t need to be so fucking hard / this is life on earth».
Girato all’interno dell’European Space Agency in Olanda e dato in anteprima all’astronauta inglese Tim Peake invece che a NME, questo nuovo singolo ti lavora in testa come un tarlo (e come tutte le migliori canzoni degli Snow Patrol), provando a battere una strada già tentata in Italia da Fabio Fazio con Samantha Cristoforetti: prendere le missioni in orbita e riportarle a un livello di mainstream paragonabile quello dei tempi d’oro della corsa allo spazio.
Battute a parte, la scia di suicidi eccellenti che il gran carrozzone del music business ci ha lasciato in dote, in questi ultimi anni, ci ha insegnato che il successo non sempre va a braccetto con la felicità e quindi, per una volta, forse conviene lasciar perdere l’effettivo valore del pezzo e rallegrarci semplicemente che il suo autore abbia (ri)trovato la forza per portarlo alla luce.