Elegante, scintillante, divertente come sempre.
Parte quell‘“huh-huh” nel coretto e pensi già che Johnny Marr sia in gran forma. Dopo l’ottimo The Messenger del 2013 e il pur buono Playland del 2014, il musicista mancuniano torna con un nuovo brano per farci capire come si possa invecchiare con dorata dignità.
Si tratta di un personaggio in giro da decenni e che sfrutta ancora il suono più vetusto che esista: quello delle chitarre. Non quelle jingle-romantic degli Smiths (il motivo principale per cui viene ricordato), ma diverse, figlie di tutte le esperienze vissute.
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Un volo atmosferico e pop – nonostante sia praticamente senza un vero ritornello – su tracciati tra il muscolare e il sensuale, senza mai diventare kitsch o “esibizionista”. Le chitarre scintillano e a volte paiono shoegaze, la sezione ritmica è possente e buia (ricorda certo pezzi dei Sonic Youth, e questa è una novità), la voce è bassa. Il tutto viene accompagnato dalle tastiere verso un’atmosfera britpop, fortunato filone di cui Marr è tra i padri putativi.
Da solista, Johnny non ha mai usufruito di riflettori così ampi da contenerne effettivamente la grandezza, che è quella di un autore incredibile, capace di mutare forma di continuo e mantenere costantemente un alto livello qualitativo.
Quella grandezza che ancora oggi, mentre l’ultimo giro di chitarra compie il proprio dovere, The Tracers è qui a ricordarci.