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Eels: Bone Dry
Dover essere Mr. E senza voler essere Mr. E, questo è il problema...

Il massimo di ottimismo che possiamo aspettarci da un pezzo proveniente dal pianeta E.

Se fosse un titolo click-bait, sarebbe “Come sopravvivere alla scomparsa di tutta la tua famiglia e trovare comunque un senso nella vita”. Se fosse un hashtag, sarebbe #MyLifeIsWorseThanYours.

Se invece volessimo riassumere il tutto in maniera schematica, ridurre un complicato percorso di sfighe ai suoi soli punti salienti e raccontare una tragedia per tappe – insomma, una roba che sta a metà tra una via crucis e una presentazione powerpoint – diciamo che le cose, sul pianeta E., sono andate più o meno così: il figlio (un po’ insicuro, timido e dall’aspetto piuttosto nerd a causa di un paio di occhialoni che sarà costretto a indossare per sempre, dopo essere stato colpito da un laser durante un concerto degli Who) di un eminente fisico americano (Hugh Everett III, genio incompreso della meccanica quantistica) perde prima il padre per un attacco di cuore, poi l’amata sorella depressa che si suicida e quindi la madre a causa di un cancro ai polmoni. Per farla breve, all’alba dell’estate 2001, l’unico parente che gli è rimasto è una cara cugina, che però pensa bene di imbarcarsi come hostess sul volo 77 di American Airlines. Sì, quello che l’11 Settembre si schianta sul Pentagono.

E pensare che c’è ancora qualcuno che si chiede come mai le canzoni degli Eels suonino “un po’ troppo tristi”.

Eppure, oggi, Mark Oliver Everett arriva addirittura a sbilanciarsi con dichiarazioni del tipo: «Il mondo sta impazzendo. Ma se la cerchi, c’è ancora una grande bellezza da trovare. A volte non devi nemmeno cercarla. Altre volte devi provare a crearla da solo. E poi ci sono delle volte in cui devi fare a pezzi qualcosa per trovarci dentro qualcos’altro di meraviglioso». Il che può spiegarsi solo in due modi: o è andato ormai in piena overdose da Novocaine For The Soul, oppure davvero, quando ogni cosa intorno a te sta crollando, l’unico modo per uscirne illesi è aspettare che la polvere si sia posata del tutto sulle rovine – ci mette in genere più di venti anni e qualcosa come dodici dischi – e solo allora cercare tra i cocci una nuova ragione per essere felici.

“Felice”, forse, è una parola grossa, ma a quanto pare il momento di provarci è arrivato con questo ultimo album, The Deconstruction: Bone Dry è il quarto singolo e, per scaramanzia – forse a compensare l’incauto ottimismo delle parole precedenti – arriva accompagnato da un piccolo capolavoro di stop-motion a firma Sofia Astrom, che rende omaggio al maestro Tim Burton con una specie di medley tra Nightmare Before Christmas e La Sposa Cadavere, forse più inquietante di entrambi e che finisce, ovviamente, peggio.

In fin dei conti è la solita canzone degli Eels, ma va detto che gli da un po’ di anni non tiravano fuori una solita canzone degli Eels così.

E Dio solo sa quando ci piacciono le solite canzoni degli Eels, quelle fatte bene.

Eels 

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