Il perfetto antidoto per la vostra voglia di festa di San Patrizio.
Oggi ricorre “Lá Fhéile Pádraig”, più comunemente nota a queste latitudini come Festa di San Patrizio: è una celebrazione di origine cristiana che si tiene ogni anno in onore, appunto, di san Patrizio patrono d’Irlanda e commemora l’arrivo del cristianesimo nell’isola durante il quinto secolo d.C.
Non stupisce quindi che, lassù, il 17 Marzo sia festa nazionale della repubblica. Più difficile capire perché anche dalle nostre parti si sia preso a festeggiare il St. Patrick’s Day, radunandosi dentro capannoni opportunamente agghindati in finto legno e trifoglio a mangiare discutibili piatti di manzo bollito, mentre ci si gonfia di ottima Guinness annacquata. Nel senso, è vero che anche in altre parti del mondo la ricorrenza viene celebrata con passione, ma si tratta prevalentemente di quei paesi interessati nel corso dei secoli da una significativa immigrazione irlandese, mentre – ad oggi – credo che la cosa più simile a una comunità celtica in Italia sia il fans club dei Modena City Ramblers.
Comunque, prima di perdere lucidità e credibilità annebbiati da litri di sidro dentro l’Irish Pub sotto casa, cogliamo l’occasione per parlare un attimo seriamente di musica irlandese. Nello specifico, di post-rock irlandese. Il che, ad una prima e superficiale analisi, potrebbe sembrare la stessa cosa che parlare della squadra giamaicana alle Olimpiadi invernali, ovvero addentrarsi ad analizzare una nicchia minuscola, soprattutto se confrontata con prodotti di esportazione di massa come U2, Cranberries o Enya.
Eppure i God Is An Astronaut da ormai sedici anni occupano saldamente il loro posto di principali alfieri del rock strumentale gaelico, vantando un discreto successo anche all’estero (nei paesi mediterranei in particolare). La loro ottava fatica si chiama Epitaph, esce a fine Aprile e – forse perché ispirato nella composizione dalla scomparsa prematura di un loro cuginetto di otto anni – si candida a perfetto “party pooper” per qualunque spirito festaiolo l’arrivo della primavera stia risvegliando in voi.
La cosa (ehm) buffa è che, per essere sicuri che il messaggio fosse recapitato a dovere, pare che il video dell’omonimo singolo sia stato rifatto da capo due volte. La prima versione infatti – stando alle parole della band, troppo allegra – «while well made, missed the point entirely», mentre questa (completamente creata saccheggiando l’archivio del dottor Stanley B. Burn, pioniere della fotografia post-mortem) non lascia adito a fraintendimenti: uno slideshow d’altri tempi, in bianco e nero, che descrive senza pietà la vulnerabilità dell’infanzia, lo shock che mina alle fondamenta la consapevolezza della triste notizia e tutta una carrellata su un dolore distribuito a pioggia in modo da non lasciare superstiti.
Dopotutto, sarà mica un caso se il nuovo album dei GIAA esce per un’etichetta che si chiama Napalm Records.