L’indie rock: quello di una volta, quello bbono. So’ due etti: che faccio, signò, lascio?
Strano come la valenza del termine “indie rock” cambi a seconda del tuo interlocutore. Se chiedi a un ventenne che significato abbia per lui, probabilmente risponderà citando i Beach Fossils o i Thegiornalisti (quelli pre-Completamente Sold Out, chiaro). Se lo chiedi a un trentenne forse tirerà in ballo i primi Strokes.
Se invece lo chiedi a me, che di anni ne ho quasi quaranta, o a chi ne ha qualcuno in più [alert: pippone in arrivo], quasi sicuramente cercherà di spiegarti l’importanza che l’indie ha avuto su tutto il rock delle ultime tre decadi, snocciolando a mo’ di rosario e con gli occhi umidi nomi di etichette storiche (SST, Sub Pop, Homestead) e band leggendarie (Hüsker Dü, Replacements, Sonic Youth).
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Preambolo necessario per presentare il nuovo singolo dei Dinosaur Jr., gruppo che è ancora in grado di sfornare gioiellini di puro pop rivestiti da bordate di chitarre alla Neil Young, con la velocità tipica di certo hardcore primi anni ‘80. Ormai la sei-corde di J Mascis è un marchio di fabbrica riconoscibile anche all’orecchio meno avvezzo: basta ascoltare i primi secondi della nuova Hold Unknown per sgamarlo.
Quindi eccomi qui, esaltato come uno scolaretto di prima superiore, a cercare di raccontare il primo pezzo inedito della band di Boston da tre anni a questa parte. Non è facile: come avrete già capito, l’aspetto emotivo può prendere il sopravvento.
E perché io, che di anni ne ho quasi quaranta, posso affermare con certezza che l’indie rock, quello “vero” di band come Dinosaur Jr., Pixies, Minutemen, è stato così basilare per il rock che ora tutti ascoltiamo che non basta lo spazio di una mini-recensione per raccontarlo.