Abbassando l’asticella.
Forse non sono i Baustelle, che sono diventati una parodia dei Baustelle. Può darsi che sia la musica – come si suol dire – “indie” d’Italia, o la maggior parte di essa, a esser diventata una parodia dei Baustelle. Del distacco sfiorito, del citazionismo struggente, del romanticismo amaro ma, per carità, ironico.
Dev’essere questo a rafforzare quella sensazione di già sentito, prevedibile, imbarazzante che prendeva già ascoltando l’album uscito un anno fa. E la scelta di intitolare quello in uscita L’Amore E La Violenza Vol. 2 sollecita invariabilmente l’impressione di labirinto, di strada già percorsa, di svolte che non portano più da nessuna parte e non suscitano emozioni nuove. Aggiungiamo pure che la canzone Veronica n.2 (un’ode alla reiterazione già nel titolo) è stata già sentita e approvata dai fan, che la ascoltano da un anno nei concerti.
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Come Nosferatu, dunque, Bianconi, Bastreghi e Brasini sembrano condannati a “sperimentare ogni giorno le stesse futili cose” – ma con ostinato languore, con sfrontato orgoglio, e quell’immancabile compiacimento nelle piccole provocazioni – tipo la somiglianza carta carbone con Babies dei Pulp, o il vezzo di infilare nel testo, senza un perché, una «Berlino distrutta da una svastica» quasi fosse una spezia per rendere tutto più piccante.
Oppure, il mettere le mani avanti: «É proprio una semplice canzone d’amore». Annunciando che l’album consisterà in “dodici pezzi facili”.
Sicché, nessuno pretenda di più dai Baustelle.
Essendo i Baustelle medesimi i primi a non pretendere di più.