Il suono appassionante e tamarro della strada moscovita.
In questi giorni, Rai 5 sta regolarmente proponendo il bel documentario sul tour sovietico che Billy Joel fece trentuno anni fa, Billy Joel - A Matter Of Trust: The Bridge To Russia. Unico difetto: la classica retorica “colonialista” all’americana che vorrebbe forse farci credere che – prima di quei sei concerti dell’artista newyorkese a Mosca e Leningrado – la musica pop e rock fosse un’entità del tutto aliena nell’URSS e, magari, nell’intero blocco comunista di allora (ma non era affatto così).
Fatto sta che nel 2018, a prima vista, una band come i Moscow Death Brigade potrebbe provenire da qualsiasi parte del mondo. Semmai è il loro nome che ne tradisce l’origine, ma non certo un suono che combina efficacemente/prevedibilmente hip hop, riffoni di chitarra ed elettronica.
Il messaggio non è banale, però: «I MDB sono diventati uno dei più attivi gruppi antifascisti russi, opponendosi a qualsiasi forma di discriminazione, partecipando a eventi benefici e diffondendo il verbo dell’unità. In genere i nostri concerti attraggono i membri di diverse sottoculture: punk, skinhead e metallari, ma anche la scena hip hop, i writer e gli ultras calcistici. In questo modo dimostriamo che facciamo tutti parte di un unico movimento mondiale, basato sull’amicizia, sul rispetto reciproco e sulla libertà», sostengono loro stessi.
Non proprio il classico ritratto della “gioventù putiniana” che potreste leggere sul magazine del Corriere della Sera o della Repubblica, insomma.