Perché stare bene quando si può continuare a stare male?
Se a Jonathan Davis togli le chitarre pesanti – ma non più ispirate da tanto tempo – dei Korn, che cosa rimane? Un suono forse fin troppo plasticoso e che solo formalmente si può definire “metal”, ma che in realtà si avvicina più che altro al pop (un discorso che si potrebbe fare anche per i Sixx:A.M., volendo).
Oddio, niente di troppo sorprendente né tanto meno “sbagliato” per un musicista che già negli anni ’90 dichiarava di amare Duran Duran e A Flock Of Seagulls – nomi non proprio popolarissimi nella stampa specializzata rock, metal & dintorni dell’epoca.
Resta solo da capire se la canzone, primo singolo del suo autentico e imminente disco di debutto come solista, sia all’altezza del talento e della fama del personaggio.
A distanza di quasi venticinque anni dall’esordio dei Korn, la teatrale drammaticità del suo cantato ci colpisce ancora. Un costante e perennemente infruttuoso tentativo di esorcizzare quei demoni interiori che, figlio di una famiglia guasta e di un’America provinciale NON da cartolina, Davis si porta dietro dall’infanzia.
Riassumendo: suoni un po’ discutibili e tematiche già note, ma artista vero. Per un brano solo: prendiamo, sempre. Per un album intero: uhm, si vedrà.