Mille modi per non farsi tirare in ballo.
Ballare o non ballare? Questo è il problema. Seguire l’istinto o trattenersi? Agli Amici di Maria de Filippi l’ardua sentenza. E quando non c’è nessun istinto da seguire, che si fa? Perché è vero che, volendo, imparare s’impara (e riguardo all’offerta, sui corsi di ballo c’è solo l’imbarazzo della scelta), ma la voglia di ballare, quella non te la può mica insegnare nessuno: o ce l’hai o non ce l’hai.
Insomma, qualunque sia la risposta, è una decisione che divide a prescindere: a qualcuno sembrerà più che naturale, a qualcun altro assolutamente incomprensibile, ma nessuno che riesca – come spiegava molto bene qualche anno fa un tizio su Medium – a rispettarla o accettarla per quella che è. Ovvero: una banale propensione naturale, in cui possono avere pesi diversi non solo orecchio e senso del ritmo, ma anche componenti meno gestibili come vocazione a esibirsi, tendenza a non apparire o semplice insicurezza cronica.
Manco a dirlo, gli Insecure Men entrano a gamba tesa nella questione, anche se la affrontano con fare contraddittorio. Da un lato sciorinano dei groove così maledettamente pop a cui i movimenti inconsulti del tuo bacino faranno fatica a resistere; dall’altro fanno proprio dell’insicurezza – oltre che parte integrante del proprio nome – a tutti gli effetti uno stile di vita.
Per dire, non son nemmeno così certi del numero dei componenti della band. Formalmente un duo (composto da Saul Adamczewski dei Fat White Family e Ben Romans-Hopcraft dei Childhood), dal vivo arrivano a stipare fino a undici musicisti sul palco per mettere insieme un allegro, traballante spettacolino da circo itinerante, solo apparentemente campato in aria, a suon musichette sghembe e pseudo-rétro che a tratti ricordano la versione lo-fi dei Pulp più scazzati.
E allora quale miglior video per il loro terzo singolo I Don’t Wanna…, tratto dall’imminente debutto su Fat Possum, se non quello girato da Jak Payne? Un contest di ballo per bimbetti ambientato a Blackpool, nella decadente costiera inglese. Una roba deliziosamente datata e kitsch, con ragazzine truccate come bambole anni ‘70 e dodicenni vestiti come Tony Manero, in mezzo ai quali il cantante della band, con la sua faccia a metà tra il Frank Gallagher di Shameless e Richard Ashcroft, si mimetizza maluccio, sfoggiando delle borse sotto gli occhi che la Ryanair non ti passerebbe come bagaglio a mano e una dentatura degna del (mai troppo) compianto Mark E. Smith.
Insicuro come pochi, nascosto con lo sguardo da cane bastonato in un pubblico di mamme, nonne e parenti vari, se ne sta in ultima fila e fa la fine di Nanni Moretti in Caro Diario: si riduce a guardare.
Che è anche bello, però… è tutta un’altra cosa.