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B. Fleischmann: There Is A Head
Ehi, barista! C’hai mica da scambiare mille lire in moneta?

Tutta la nostalgia di quando potevamo essere nerd senza conseguenze.

Magari mi sbaglio, ma ho come l’impressione che Bernhard Fleischmann non sia propriamente quella che gli inglesi chiamano una “people person”. Me lo immagino nei panni di un “music geek” ultraquarantenne, un po’ agorafobico, che fa un po’ troppo fatica a interfacciarsi con i suoi simili, se non tramite le sue surreali composizioni sonore. Insomma, la versione claustrofobica di una one-man-band che – fosse per lui – mai uscirebbe dal suo laboratorio, allestito a sala prove.

C’è dire che i titoli dei suoi album sembrano confermare questa congettura. A partire dal debutto in cui confessava di preferire, a un caffè da Starbucks, una colazione in solitaria a base di (Kellog’s Choco) pop loops, attraverso le serate passate a concepire una sinfonia per letti vuoti invece che a organizzare un pigiama party, fino al recente annuncio con cui – dopo quattro anni chiuso in casa a trafficare con sample, rumorini e macchinette – comunicava alla vicina di pianerottolo che non c’era bisogno di chiamare i pompieri a sfondare la porta, visto che, no, non era ancora morto.

Anche il nuovo Stop Making Fans non le manda a dire e prosegue su una certa falsariga di autismo burbero che potrebbe rivelarsi tanto una critica esplicita verso la comune tendenza a una bulimica ricerca di follower, a discapito della salvaguardia di una certa integrità artistica, quanto un “j’accuse” nei confronti di un uso estivo sconsiderato dei condizionatori in un’ottica di “global warming”, così come una meta-citazione dai Talking Heads.

O forse tutte queste cose insieme, dato che, a leggere la lista delle influenze dichiarate dal producer austriaco (Slint, Sparklehorse, Fennesz, The Notwist, Dinosaur Jr, Chopin, Caribou, Genesis), si fa presto a realizzare che qui non si tratta solo di elettronica, ma bensì di un’operazione a cuore aperto sulla nostra memoria musicale, nell’ottica di renderne futuribile almeno un pezzo.

Operazione che Frank Kalero, nel video dell’ultimo singolo There Is A Head, porta a un livello da bar di periferia anni ‘80, prendendo l’archetipo a 8 bit dell’infanzia del nostro immaginario collettivo (l’astronave da trecento punti di Space Invaders) e rispedendoci, per poco più di quattro minuti di nostalgia pura, in quell’universo arcade nel quale si poteva ancora essere nerd senza essere hipster.

Essere asociali senza essere fighi.

Essere B. Fleischmann senza essere Sheldon Cooper.

B. Fleischmann 

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