Le nuove supereroine del rock’n’roll.
Nemmeno tre anni fa, gli unici suoni che potevano accompagnare un’improbabile performance di Molly Sides e Whitney Petty erano le strofinate di olio di gomito per tirar via i residui di cibo dai piatti, prima di buttarli nella lavastoviglie del Pink Door Restaurant di Seattle.
Poi è andata che, durante un festival al Gorge Amphiteatre, Mike McCready le ha viste suonare insieme alle altre Thunderpussy, ne è rimasto folgorato e ha deciso di produrre il loro primo EP. E si è reso così complice di un colpo di mano che, in un attimo, riporta il capoluogo della King County in un’era pre-grunge in cui stivali, pelle, glitter e rossetti infuocati la fanno ancora da padroni.
Proprio il chitarrista dei Pearl Jam si è pure prestato, insieme alla sua Pontiac del ‘78, per un cameo nel video di Speed Queen. Diretto da Cheryl Ediss, sembra iniziare – con una devastante rissa da bar tutta al femminile tra due squinternate gang di ballerine attaccabrighe (le Hotti Cauteratti contro le Silver Slits) – sul set della versione riot-grrrl di Road House e finire su quello di un remake “biker-friendly” di Thelma & Louise. Lo scopo? Far tornare alla ribalta il tema dell’emancipazione femminile in un’America, quella attuale, che pare avere bisogno di continui promemoria al riguardo.
Per esempio, il loro omonimo disco di debutto è pronto per uscire in primavera, ma per ora le quattro ragazzacce sono riuscite ad avere i diritti per il nome solo nello stato di Washington: per il resto degli Usa c’è ancora qualcuno che, appellandosi al Lanham Act del 1946, vorrebbe vietarlo in quanto “scandaloso” e “immorale”. Il che è quantomeno buffo, visto il tizio che siede nella Sala Ovale in questo momento.
Buffo e anacronistico come le migliori sceneggiature di fumetti, poiché Thunderpussy vs. Pussy Grabber potrebbe tranquillamente essere il titolo di un’epica storia targata Marvel ambientata ai giorni nostri. Una lotta senza esclusione di colpi, perfetta per continuare a sperare che, come spesso avviene in quei casi, anche qui vincano i buoni, alla fine.
O forse dovremmo dire – per scendere al livello del villain in questione – “le bòne”?