Vent’anni e sul passaporto e venticinque sulle spalle.
È tutto perfetto.
Potrei fermarmi qui, ma mi rendo conto che non è abbastanza.
Questa è una canzone che le ha centrate tutte. Nella melodia, nell’immaginario che evoca, nell’appeal radiofonico e, non ultimo, nel video. È un vero peccato che nessuna radio italiana la passerà mai, ma questo è un ginepraio che qui non interessa.
È curioso, innanzitutto, sapere che questo pezzo ha avuto una genesi non studiata; questi tre ragazzi di New York, poco più che ventenni, l’hanno strimpellata un paio di volte in sala prove, ed era fatta. Non c’erano mail dall’ufficio tecnico di Spotify, a dettare le leggi di un perfetto ritornello, perché il ritornello non c’è. Anzi: a dirla tutta, pensandoci bene, c’è solo il ritornello.
La rullatina iniziale di batteria accende la spia “Dreams dei Fleetwood Mac”, e già si comincia bene. Ma è un istante brevissimo, perché poi è subito 1992; il pezzo sguazza beato in quel dream-psych-pop con le chitarrine languide e le voci flebili, quello dei Sundays o dei Lush, per intenderci. Ma anche in quel cantautorato acustico che quest’anno ha trovato nella coppia Kurt Weil/Courtney Barnett una rinascita.
La vocina – che dal vivo stenta un poco, c’è da dire – ha un nome e un cognome: Julia Cumming. Con lei , che suona anche il basso, ci sono il chitarrista Nick Kivlen, che ricorda in modo sconcertante un giovanissimo Bob Dylan, e il batterista Jacob (!) Faber.
Una somiglianza che calza a pennello con il video che ci racconta di un party degli anni ‘70, in un locale brutto, con la band sul palco, la gente che flirta e la riscossa finale della ragazza con cui non vuole ballare nessuno.
È tutto perfetto.