L’inizio della fine.
Alex Cameron ha costruito la sua carriera solista utilizzando sintetizzatori analogici per celebrare tutto un suo personale cast di perdenti e raccontando, con sonorità sfacciatamente “eighties”, storie di deliranti fannulloni (riuscendo sempre a farle risultare allo stesso tempo ferocemente divertenti e curiosamente profonde).
Spesso – in particolare nell’ultimo Forced Witness, di cui Politics Of Love è proprio la traccia finale – ha chiesto aiuto al “partner in crime” Roy Molloy che, con il suo sax, certo non ha mai contribuito a rendere meno “anni 80” tutta la faccenda (anche senza stare a scomodare cose turpi di papettiana memoria).
In questo caso proprio il sassofonista si è preso anche la briga di scrivere la sceneggiatura del video, forse perché voleva essere sicuro che le loro straordinarie capacità attoriali fossero messe adeguatamente in risalto: Cameron bravissimo nell’allontanarsi lentamente dalla camera, caracollando con stile a dir poco originale fino a scomparire all’orizzonte; Molloy semplicemente da Oscar nella sua interpretazione della “strategia dell’opossum”, ovvero fingersi vittima di un colpo d’arma da fuoco al volante di una macchina da rottamare.
Il resto è un plot immobile che trasla nel mondo dei videoclip musicali l’amore per i titoli di coda già teorizzato a suo tempo in Santa Maradona, mandando in sovraimpressione praticamente tutti i testi del booklet del disco, in mezzo ai quali si intravedono svariati ospiti di un certo livello (Angel Olsen, Kirin J. Callinan, Brandon Flowers dei Killers, Jonathan Rado dei Foxygen).
Riassumendo: l’ultimo singolo di un album che è anche la canzone di chiusura dell’album stesso e delle immagini che per raccontarla partono dalla fine e lì rimangono, a sciorinare soltanto una lunga serie di credits. In altri termini, la colonna sonora perfetta per questi pochi restanti giorni dell’anno, tempo di bilanci, retrospettive, classifiche, chiusure di inventari e richieste di attenzione last-minute.