Essere umani non può essere semplice.
La richiesta bulimica di “post-punk revival” non accenna a saziarsi, nonostante il passare del tempo; in questo senso, i canadesi Ought sono ben più di un semplice spuntino per fermare lo stomaco.
La conferma arriva dal loro ultimo singolo These 3 Things: pulsante e diretto, non si perde in fronzoli e mette in tavola un “pattern” vocale degno del miglior Robert Smith, il solito basso leggermente distorto che cammina spedito e una drum machine in loop che aiuta il tutto a progredire senza particolare inciampi.
Insomma: roba già sentita ma che difficilmente ci stancheremo di ascoltare, soprattutto se accompagnata da un video intelligente (e, allo stesso tempo, sempre più strano e disturbante via via che va avanti), come quello girato da Jonny Look e Scottie Cameron.
Ambientato dall’inizio alla fine all’interno della stessa stanza (se non è un esplicito riferimento alla Room Inside the World che dà il titolo al loro nuovo album, la coincidenza è quantomeno sospetta), vede come protagonista un manichino di Benetton e sembra la versione “for (crash test) dummies” della vecchia Lazy di David Byrne, declinata però attraverso un ribaltamento di prospettiva in cui sono gli uomini a mettersi al servizio degli automi, nell’ottica di render loro la vita più semplice.
Almeno all’inizio, diciamo, visto che quando i test vengono replicati su una persona reale… ogni cosa va un po’ a puttane.
In definitiva, l’ennesima dimostrazione che “life sucks”, ma che cercare la famosa “easy way out” è un’operazione comunque sterile. Anche perché la vera bellezza della vita stessa si scopre soltanto quando si introduce nel processo proprio l’imprevedibilità della variabile umana.
Disse la volpe che non riusciva ad arrivare all’uva.