Gente cui piace complicarsi la vita, da sempre.
La settimana scorsa vi abbiamo parlato dei Quicksand, pionieri e maestri del post-hardcore (appena transitati dal vivo a Milano, peraltro). Oggi tocca alla generazione successiva del filone, affacciatasi sul mercato discografico verso la fine degli anni ’90, con un gruppo dalla storia davvero particolare.
I Glassjaw hanno pubblicato solamente due lavori sulla lunga distanza (e una manciata di EP), in oltre vent’anni di carriera; il terzo, Material Control è in arrivo nei prossimi giorni. Eppure vantano un seguito di culto sia in America, sia in Europa: conosciamo personalmente gente che è volata dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, pur di ammirarli in concerto. La loro pagina Wikipedia in inglese, per dire, è lunghissima – un mezzo romanzo denso di fatti spesso avversi: malattie debilitanti, dispute con la vecchia discografica, sistematici rimescolamenti di formazione….
Eppure Daryl Palumbo (voce) e Justin Beck (chitarra) non mollano, anzi rilanciano. E qui li troviamo un po’ più asciutti e lineari rispetto agli spigolosi e a tratti contorti episodi di un passato in cui, ambiguamente, venivano talvolta spacciati come nuova sensazione nu metal. Era l’inizio del nuovo millennio: tempi bui e decadenti dove il gruppo “rock” più famoso – o meglio, redditizio – del mondo rispondeva al nome di Limp Bizkit. Preferivate scordarlo, immaginiamo, ma forse c’eravate anche voi fra quelli che saltavano in aria a ritmo di Nookie e Rollin’ …
Perdonate la divagazione; non è mai troppo tardi per apprezzare il dissonante senso melodico dei Glassjaw, apparentemente. Anche se qualcosa ci dice che, pure questa volta, i ragazzi di Long Island troveranno la strada in salita.