Musica per organi lividi.
Gli Unsane smisero di essere veramente rilevanti alla fine degli anni ’90 (sciogliendosi nel 2000, toh!).
Non è una critica gratuita, ma una semplice costatazione: i musicisti o i gruppi che fanno musica DAVVERO senza tempo sono molto pochi. Per gli altri, per quasi tutti gli altri, c’è una data di scadenza più o meno precisa – facile da individuare solamente col senno di poi, tuttavia.
Detto questo, se ti piace una band, un sound, un’immagine ecc., non c’è niente di male a perseverare nel fanatismo. Per conto nostro gli U2 non dicono più niente di interessante da almeno vent’anni, ma non biasimiamo le migliaia di persone che affollano tuttora i loro concerti.
Tornando agli Unsane: dopo il ritorno del 2003 hanno messo assieme una manciata di dischi dignitosi, eppure mai efficaci e graffianti come nel decennio precedente. Mestieranti, nell’accezione migliore del termine.
Il nuovo album Sterilize ribadisce la pasta del trio americano, comunque maestro di paranoia e iterazione. Non è hardcore, non è metal, non è crossover nel senso stretto del termine: è il suono della psicosi della Grande Mela, del cemento armato e del cielo grigio, delle strade bagnate di pioggia e dei tombini che fumano.
Non sono rilevanti come una volta, ma il mondo di oggi fa così schifo – e senza Tom Petty, persino di più – che gli Unsane hanno ancora un po’ di senso.