Pare che la disco sia morta, ma la cosiddetta mixing area no.
Il mio primo approccio con i Teleman risale a due anni fa, con Strange Combinations, un singolo senza album. Elettronica essenziale, struttura essenziale, un cantato essenziale, ma tutto terribilmente “catchy”.
Era accompagnato da uno di quei video che ricorrono nei tuoi peggiori incubi: bambolotti vecchi che ballano. Sul finire del pezzo, il synth impazziva e i bambolotti davanno testate sul pavimento.
Mi piacciono questi Teleman – pensai.
Poi ho sentito Düsseldorf; una canzonetta che aveva la portata anthemica di Song 2 dei Blur, senza la scarica di distorsione e quell’”uuh-huuuu!” che ci accompagnerà per sempre.
Chi sono questi Teleman, mi chiedevo. Degli emuli bizzarri dei Kraftwerk? Molti, in effetti, i punti in comune: certe scelte estetiche, certe foto, l’immobilismo, l’elettronica un po’ cubica e cadenzata, e questa fissa col tedesco.
Loro, che sono tutti di Londra.
Fünf è il loro nuovo EP. “Fünf” vuol dire cinque, in tedesco. Cinque sono le tracce, ognuna fatta con un produttore diverso. Tra l’altro, tutti mostri sacri della dance/elettronica contemporanea: Timothy J., Fairplay, Bullion e Moscoman, tra gli altri.
Se l’EP avrà l’impatto del primo singolo, Bone China Face, la strada è quella giusta. Rispecchia uno dei talenti assoluti dei Teleman: il ritornellone che ti s’impianta nella testa e non ti molla più.
È stato creato in collaborazione con Ghost Culture (pseudonimo del produttore James Greenwood); lui ha fatto scelte che portano la band fuori dalla propria “comfort zone”. Nuove sperimentazioni, nuove botte di synth.
Ma vera la sorpresa entra quando meno te lo aspetti, ed è quella cosa chiamata “mixing area”; quel prezioso spazio di mezzo in cui il DJ fa subentrare il pezzo successivo, mixandolo, possibilmente in battuta. Una cosa che, in un pezzo così, non era proprio scontata.
Tra l’altro, si respira bella frizzante l’aria dei Chemical Brothers di Golden Path.