Voci che scalano le montagne.
In quest’evo promiscuo di “joint-venture” canore strategiche, la scarsa attitudine di Robert Plant al duetto va adeguatamente rimarcata. In cinquant’anni da dio dorato, poche dee hanno ottenuto questo privilegio: Sandy Denny in The Battle Of Evermore coi Led Zeppelin, Maire Brennan dei Clannad negli anni ‘90, Alison Krauss in un album tra i più sontuosi degli ultimi vent’anni.
Sentire ora la sua voce cercare di fondersi con quella di Chrissie Hynde sembra persino troppa roba – tra l’altro è un’occasione per notare come i due spesso appoggino le note lunghe allo stesso modo (… non è da escludere che da ragazza, nel suo Pretendere di essere una frontwoman, Hynde abbia cercato di imitare quel celebre frontman dotato peraltro di un timbro più alto del suo).
C’è da dire che il luogo scelto da Plant per l’incontro non è a metà strada: un brano del 1958 di Ersel Hickey, un rockabilly romantico in stile Buddy Holly (ma lo ripresero anche Ritchie Valens e i Beach Boys), pescato nel suo infinito scantinato di Honeydripper – noto altresì per essere brevissimo (un minuto e ventiquattro secondi).
E infatti, non contento della scelta sfiziosa, lo allunga, dipana e stende come una lasagna fino a farlo durare cinque minuti, per di più proiettandolo in un ipnotico vortice di elettronica con sfumature orientali vagamente Kashmiriane.
Quante difficoltà, anche dal punto di vista della piacioneria del pezzo: tanti potenziali Grammy soffiati via con intenzione e sfida.
Ma nessuno sarà particolarmente sorpreso di apprendere che Chrissie non fa una piega.