Le “canzoni anti-Trump” stanno rimpiazzando le vecchie “canzoni anti-Reagan”?
Negli anni ’80 le canzoni anti-Reagan divennero un filone piuttosto fortunato nel panorama rock americano; quasi un genere a sé, addirittura, nell’allora giovane scena hardcore-punk.
Oggi le canzoni anti-Trump stanno spuntando come i funghi in autunno, evidente sintomo del diffuso malessere politico e sociale che attanaglia il cuore pulsante degli Stati Uniti (scusate, abbiamo appena sentito questa frase su Rai 3 e l’abbiamo trascritta pari pari).
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Per fortuna le L7 sono troppo intelligenti e spiritose per seguire pedissequamente le regole del gioco. Qualcuno ha già provato a definire Dispatch From Mar-A-Lago – loro primo brano inedito dal 1999! – come una “anti-Trump track”, ma la cantante e chitarrista Donita Sparks ha specificato che è più una questione di sarcasmo che di militanza («S.O.S. from the golden throne / Mogul’s in deep shit, he’s all alone / It’s not good, a riot in fact / The whole friggin’ country club is under attack»).
Così la band californiana deluderà forse i paladini dell’impegno a tutti costi, specie i “comunisti da sofà” di casa nostra, ma il senso dell’umorismo ha sempre fatto parte del bagaglio lirico delle L7 – assieme alle chitarre ruggenti, alla voce ruvida e al suono sporco, che qui ritroviamo in modo confortevole (o senza troppo sforzo, a seconda dei punti di vista).
Va segnalato che la loro nuova etichetta è la Don Giovanni Records, indie nota per lavorare con gruppi vicini alla causa femminista e al movimento LGBT (spassose e sinceramente crude le F.A.Q. del loro sito, peraltro).
A posto così, per sentirci rockettari e coscienziosi. Per alzare poi la soglia dell’attenzione nei confronti dei problemi dell’America e del mondo intero, purtroppo, ci sono sempre i Prophets Of Rage.