C’è un amore in ogni borsello, ma ancora per poco.
È così che finisce?
Non con un “bang”, ma con un garbato ululato?
Con le bolle e le timeline che si riempiono di commenti in cui i “noooo” e i “finisce un’epoca” soccombono rispetto agli “era ora” e i “sono quindici anni che non hanno più nulla da dire”?
Chi gli ha voluto bene sia quando era facile, sia quando lo era un po’ meno, sperava in realtà in un ultimo colpo di reni, un lampo di genio finale che illuminasse a giorno un percorso che non troverà eguali nella musica italiana (… e non solo italiana perché gente, c’è un Paese anche grosso al quale, morto Frank Zappa, tocca accontentarsi dei Tenacious D).
Invece, quest’ultimo supereroe, pallido erede di una stirpe di Supergiovani e di Shpalman, è coerente con la produzione recente degli Alfieri Del Bel Canto: un ennesimo “divertissement”, moderatamente gustoso, con un blando sberleffo alla modernità. Ma non memorabile, e persino poco memorizzabile.
È strano, ma in tanti, troppi brani del post-Feiez che avrebbero potuto giocarsela coi classicissimi del più grande gruppo rock italiano di sempre, è sempre mancato un ingrediente sottovalutato: quel pizzico di dolore vissuto che faceva amare Servi Della Gleba, Tapparella, John Holmes, Cara Ti Amo, Uomini Col Borsello, tutti quei pezzi che almeno un paio di generazioni citano a memoria in automatico. E infatti, manca anche qui.
Ma in fondo la scelta di realizzare una cover come ai vecchi tempi, e di ambientarla a Milano, sembra chiudere il cerchio per il complessino del Magia e del Tangram. Come in un ritorno a casa, dopo un viaggio incredibile.
Perciò, in ogni caso, ovazione finale: addio, e grazie per tutti i phikis.