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Mick Jagger: England Lost
Nel video, Luke Evans si aggira in un’Inghilterra né fast, né furious

Mickey dice la sua, pt. II, tra indignazione politica e citazioni “cult”. Tutto molto britannico, nel bene e nel male.

Nel marzo del 1968 Mick Jagger partecipò a una manifestazione contro la guerra nel Vietnam che si concluse con qualche scontro davanti all’ambasciata americana a Londra. Due mesi dopo, nel favoleggiato maggio, i Rolling Stones incisero una canzone contenente il riverbero fragoroso di quanto in quell’anno stava accadendo in Europa, in Usa, persino a Città del Messico durante le Olimpiadi, ma NON nella sonnacchiosa Londra – sempre pronta a cogliere il lato cool di quello che succede, ma mai realmente propensa a ribellarsi, “a uccidere il re”, come diceva quel brano, che poi è Street Fighting Man. Così, cinquant’anni dopo, cosa può fare un povero settantenne esterrefatto dal suo paese, se non incidere un’altra canzone rock?

Ed è una canzone strana, non è un pezzo trascinante (nessuno Stone da solo ne ha mai inciso uno), vuole essere ipnotico, ruvido, con un riverbero di insofferenza rispetto a quanto sta succedendo a Londra. Suona vagamente artefatto e sofisticato, lontanissimo dall’impeto di Street…, che pure conteneva più azzardi sonori di quello che sembrerebbe all’ascolto odierno: una batteria giocattolo per Charlie Watts, una chitarra che usciva da un registratore a cassette, un sitar per Brian Jones, uno shehnai indiano per Dave Mason dei Traffic.

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Il testo («Sono andato a vedere l’Inghilterra, ma ha perso. Tutti hanno detto che siamo stati derubati, tutti gridavano e si lamentavano. Non una gran partita, comunque») è uno dei più interessanti e sottili del Jagger “politico”: non ha l’indignazione vibrante di Undercover Of The Night, ma nemmeno la generosa goffaggine di Sweet Neo Con; volendo, ricorda il sarcasmo sornione di Fingerprint File, incisa quando le autorità americane marcavano stretto le rockstar, facendole anche spiare.

Ma ancora più ambizioso è il video. Niente che farà venir voglia di visioni ripetute su YouTube, però è un “corto” che omaggia visibilmente due classici britannici, la serie Il Prigioniero e il film The Wicker Man, con il loro clima di angoscia e paranoia. Jagger pare volerci dire che quella “cool Britannia” abilmente venduta dall’ufficio marketing di Tony Blair, e tuttora in auge, continua a nascondere l’apatia di un popolo molto conformista – che d’altronde è una fortuna per gli anticonformisti di professione, finché non si ritrovano in esilio sulla strada principale.

È una canzone memorabile? Certamente no. Casomai è un intervento da autorevole opinionista. E come tale forse verrà più condiviso che ascoltato. A suo modo, un concetto molto contemporaneo: del resto Jagger, anche se musicalmente è fuori sincrono da anni, è sempre attento a come far rotolare la sua pietra – per evitare di fare muschio.

Mick Jagger 

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