I Charlatans potevano vivere di rendita. E invece han deciso di vivere. Viva Love.
Quando hai capitanato un intero movimento giovanile trent’anni fa, e ancora sforni dischi belli nel 2017, già sei un’eccezione. Se poi lo fai scrostando e ripulendo la tua cifra stilistica, facendo l’”upgrade” senza far seccare le tue radici, allora sei nella categoria dei miracoli.
I prodigi dei Charlatans assumono dimensioni ancor più grandi se si pensa alle catastrofi interne che han dovuto affrontare, tra lutti vari e fedine penali un po’ spesse.
Sarebbe stato facile smettere tutto, a un certo punto: campare di diritti d’autore e gran piazzamenti nella classifica inglese, e crogiolarsi nella luce riflessa di Madchester. Invece no: i ragazzi di Tim Burgess buttano fuori album con una certa regolarità dacché sono nati; lavori senza i quali, si sa, il Britpop avrebbe avuto molti meno appigli.
Different Days è il numero tredici, con una parata di eccellenti colleghi “Mancunian”: i batteristi Pete Salisbury e Stephen Morris, già con loro nell’ottimo Modern Nature di due anni fa, il macigno Johnny Marr e il semprefico Paul Weller.
Un disco non senza peccati: certi brani sono un po’ autocompiacenti e ripetitivi. Quell’autoindulgenza che se ne frega. Ma, fra gli altri, il primo singolo – Plastic Machinery – è un pezzo dei New Ord… ehm, è un pezzo che non ha tempo. E un motivo in più per continuare a parlare di Manchester. Con l’accento sulla prima “e”.