Aprite il cuore alla trap. Aprite il cuore a Rkomi, il piccolo grande poeta in Auto-Tune della Zona 4.
Mirko guarda il suo quartiere, Calvairate, Zona 4 di Milano, scorrere sotto gli occhi, attraverso il finestrino della sua utilitaria. Divide l’abitacolo con una ragazza, ma c’è dello stress, placato solo da un panino d’asporto. Lei a un certo punto sbotta e se ne va; così lui tenta la fortuna con una donnina di strada. Ma neanche lì si quaglia; è il turno degli amici del quartierino, dunque. All’inizio si ride e girano le canne, poi però scappano tutti. Forse c’è la pula.
Niente: Mirko nostro si trova a chiudere la serata da solo, in un parcheggio, come un cane nato ai bordi di periferia. I casi sono due: o prende male le curve, oppure c’è del disagio. Lo stesso disagio che provoca il termine “trap”.
In realtà, Mirko di Calvairate, in arte Rkomi, è uno di quelli che danno un senso, un volto, una poetica a questo genere di derivazione americana – spesso definito, in alcuni ambiti, “rap fatto da bimbiminkia”.
Supportato dai colleghi dell’”Asse Milano-Genova” – Izi, Tedua, Charlie Charles – Rkomi ha un’abilità narrativa fuori dal comune; stende versi rappati (“flow”, si chiama “flow”!) da veterano, su basi che lasciano esterrefatti, anche se i suoi temi sono i più ricorrenti tra i rapper di prima e ultima generazione: la vita nel quartiere, il rapporto con gli hater, la riscossa, la droga e il rischio di ricaderci («Mi fiondo al posto con chi da prassi / Mi accompagnò ai tempi / Temi possa riprendermi»).
Apnea non è forse l’esempio più eclatante del suo talento: lo è, invece, l’EP Dasein Sollen, titolo che richiama un concetto Heideggeriano. E Rkomi lo sa.
Non è più così dura, capire la trap.