La drum’n’bass non muore: rimane solo in soffitta, in attesa di una passata di smalto (e intanto Goldie avrebbe pure rivelato l’identità di Banksy, sempre che non stesse scherzando…).
Il signor Clifford Price di Walsall, Inghilterra centrale, aveva tutte le carte in regola per non vivere. Abbandonato dalla madre a soli tre anni, ebbe subito in regalo un biglietto di sola andata per una vita di crimini efferati e permanenze in “rehab”. E invece è diventato Goldie, l’uomo dai denti d’oro che ha sdoganato la drum’n’bass. Un genere senz’altro figlio del suo tempo, ma non fatto per morire.
Cosa può interferire, tra l’era dello streaming e tutto ciò che è nato dal “breakbeat”? Niente. E Goldie ce lo conferma con Prism, una bomba che, non fosse altro per la produzione, poteva stare in Timeless, il suo disco d’esordio. E che, fin dall’apertura, fa tremare il diaframma, con quel fascio fotonico di synth, e in più quelle tastierone apocalittiche che paiono prese in prestito da Deadmau5.
«È uno dei miei pezzi drum’n’bass preferiti del disco», dice lui. «Volevo trasmettere la sensazione che dà l’oro quando è al suo massimo punto di fusione». La forma che prende vita dalla materia grezza (laddove la materia grezza è quel noto trittico, drum/break/bassline, che ci faceva saltare come molle impazzite sulle piste da ballo).
L’ album è The Journey Man, un gran lavoro in cui Bristol è presentissima – insieme ai vari anfratti del mondo in cui Clifford ha trascorso la sua vita. E il “viaggio” non finisce mai.