Zu 2017, versione ambient/drone doom. O, semplicemente, il nuovo film “mistico” di questi registi del suono (mai banali).
Quando ritieni di aver ormai inquadrato in modo abbastanza corretto gli Zu, “buttandoli” con disinvoltura in un pur ampio calderone rock alternativo/strumentale/sperimentale, tocca ricredersi. E a detta loro, non ci sarebbe poi da meravigliarsi: «Jhator ad un ascolto superficiale può sembrare qualcosa di completamente diverso da quello che abbiamo fatto prima, ma per noi è solo un aspetto di quello che siamo sempre stati» (cit., a proposito del nuovo album).
Questa volta il gruppo romano ha inciso due canzoni dalla durata media di ventuno minuti, ispirandosi a una pratica funeraria tibetana chiamata sepoltura celeste. Una sorta di cerimonia eco-spirituale dove il corpo del defunto viene lasciato in pasto agli avvoltoi, sulla cima di una montagna, riconsegnando il proprio “involucro” al cielo.
Musica come ricerca interiore, liberazione dai tabù occidentali, medicina dell’anima. A scriverne così suona un po’ troppo new age, ma funziona bene – specie quando l’iterazione solenne di A Sky Burial, verso la fine, fa inesorabilmente vibrare dalla testa ai piedi.
Ricapitolando: siamo solo a maggio, ma avete già la colonna sonora perfetta per l’aperitivo in spiaggia.