Black metal “evoluto”, con ambiziosi richiami shoegaze. Genio o fuffa? Spoiler: non l’abbiamo ancora stabilito con certezza…
I Ghost Bath seguono il solco tracciato dai Deafheaven che, con Sunbather del 2013, sono diventati i portabandiera di un sotto-sottogenere ambiziosamente ribattezzato blackgaze (un po’ black metal, un po’ shoegaze, un goccio di post-rock: agitare e servire freddo).
A dire il vero, le chitarrine zuccherine dell’intro di questa canzone ci sembrano prese in prestito da Iron Maiden ed Helloween, più che da My Bloody Valentine e Slowdive, ma non vogliamo rovinare la festa a nessuno.
Il vero problema è che non si capisce se la band americana è composto da cinque Charles Manson che trasudano una dolcezza artefatta o cinque boyscout che giocano a fare i cattivoni. In altre parole: il contrasto fra le parti ferali e quelle ultramelodiche è intrigante sulla carta, ma qui sembra il frutto di due gruppi diversi che s’incrociano per caso in sala prove e incidono una canzone assieme.
Se questo è il presente-futuro del black, meglio tenersi stretti i vecchi dischi di Impaled Nazarene e Immortal – verrebbe quasi da pensare. Quasi: perché in Seraphic, comunque, risplendono fugacemente dei bagliori di malevolenza che lasciano aperto qualche spiraglio.