Leslie Feist si lascia alle spalle una certa leggerezza del passato e, con l’aiuto di Jarvis Cocker, non teme di affrontare la propria oscurità.
I guru ci insegnano che, in questo decennio, il segreto è esserci sempre, essere dappertutto, essere in contatto continuo col pubblico, regalare epifanie a getto continuo: almeno un quinto, forse addirittura un quarto verranno giocoforza acclamate come miracolose.
Leslie Feist ha deciso che in questo decennio non aveva granché voglia di manifestarsi: un ventenne del 2017, per quanto dedito a tutto ciò che è alternativo, potrebbe legittimissimamente non averla mai sentita nominare.
Il primo assaggio del suo ritorno da Metals (2011) è stato un brano intitolato come l’incipiente album, Pleasure: così obliquo e penombroso da suggerire un’esperienza piuttosto antitetica a quella del titolo. Per questo secondo singolo, l’artista canadese sfoggia invece una collaborazione con Jarvis Cocker (ex Pulp – sia detto sempre per il ventenne di cui sopra): sei minuti che, anche a livello puramente fonico, paiono presi di peso da un documentario sul post-punk di fine anni ‘70.
A dire la verità il brano, a 3:40, si divide in due, con Cocker che si prende l’ultima parte della canzone per un parlato in cui medita sul fatto che i secondi a volte durano tanto, e certe notti a volte durano tantissimo, e in effetti anche il suo parlato dura non poco per esprimere tanto concetto – aggiungendo più che altro un ulteriore senso di “gravitas” all’enigmatico testo di Feist sui sentimenti che cercava, prima di scoprire che ostacolassero il suo cammino.
Beh, avrete capito che quella leggerezza che pervadeva 1234 è un po’ tanto alle spalle; lo stesso ci azzardiamo di prevedere per i sessanta milioni di ascolti su Spotify che quella vecchia hit di Feist totalizza ancor oggi. Ma chissà, forse anche le hit e la popolarità dopo un po’ diventano ostacoli sul cammino.