“Il” gruppo rock contaminato da ascoltare a tutti i costi, quest’anno: così, perlomeno, ve lo descriveranno un po’ ovunque. Noi compresi…
Gli Algiers hanno tutte le carte in regola per essere i beniamini del pubblico alternativo-ma-non-troppo del 2017: provengono da Atlanta (associandoli subito all’omonima serie TV, poco importa se potrebbe non c’entrare una mazza, accederete ai salotti virtuali che contano), ma possiedono anche quel non so che di inglese e pure un pizzico di newyorkesità; mischiano rock, funk, soul, gospel e altri generi – IDM? – con originalità “intellettual-sperimentale”; parlano di politica e società con toni pertinenti, se non arguti; dal vivo stanno bene sia di spalla ai Depeche Mode negli stadi, sia da headliner nei club giusti.
Non vedremmo l’ora di gridare che la montagna stia per partorire il topolino, alla vigilia del secondo album The Underside Of Power, ma bisogna fare i conti col fatto che gli Algiers sono bravi. Ma bravi davvero, come a volte solo gli americani riescono a essere – sarà perché alla fine hanno inventato quasi tutto loro, nel ventesimo secolo?
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La titletrack conferma semplicemente quanto di buono già ascoltato/letto/sentito sul neo-quartetto (ormai stabile il ruolo dell’ex batterista dei Bloc Party, Matt Tong). Questa volta, insomma, sembrerebbe sconsigliabile fare i bastian contrari.