«Cara, sto invecchiando. Ho lavorato a questo disco per un sacco di tempo. Ora posso ritirarmi». So long, Charles Edward Anderson Berry.
È proprio come la immaginate, la nuova/vecchia canzone di Chuck Berry. Attacco alla Johnny B. Goode e Little Queenie, la storia del ragazzino che vuole divertirsi come i grandi, il ritornello minimale che finisce con un «little bitty boy», la strumentazione rigorosamente rock’n’roll, i caratteri maschili e femminili tagliati con l’accetta, il finale iconico «let’s rock and roll till the break of day». In più, la voce di Nathaniel Rateliff e le chitarre di Tom Morello e del figlio Charles Berry Jr.
Nel cinico e disincantato 2017, canzoni come queste fanno tenerezza. Possiamo scartarle come il residuo di un’epoca lontana e di un modo di far musica sorpassato già cinquant’anni fa; oppure possiamo godercene lo spirito naïf e prenderlo come un promemoria del fatto che questa roba è nel DNA della musica che amiamo.
L’album che la contiene, Chuck, uscirà postumo il 16 giugno. È stato registrato fra il 1991 e il 2014 e a quanto pare condivide con Big Boys ampi riferimenti al passato. E del resto che cosa aspettarsi da un musicista quasi novantenne che ha pubblicato l’ultimo album nel, cos’era, il 1979? In ogni caso, Berry sapeva che non avrebbe inciso molte altre canzoni. Ha dedicato l’album alla moglie, aggiungendo: «Cara, sto invecchiando. Ho lavorato a questo disco per un sacco di tempo. Ora posso ritirarmi».