Arduo non rimanere ammirati dall’emozionante semplicità con cui Bob Dylan si cimenta (ancora) con The Voice…
… incredibile.
Mettiamola così: chi scrive non appartiene al partito di coloro per i quali Dylan è il quarto dei profeti maggiori, venuto ad aggiungersi ai tre previsti dal Tanakh: Isaia, Geremia ed Ezechiele. Però è arduo non rimanere ammirati dall’emozionante semplicità con cui lo svociato per eccellenza si cimenta (ancora) con The Voice. Il brano farà parte di Triplicate, un album triplo di cover venerande, ed è inevitabile sottolineare la birichineria con la quale (… ancora), nel momento storico in cui il mondo dibatte su di lui come poeta, lui fa quello che si suppone non sia: l’interprete. Che poi, di cover Dylan ne ha sempre fatte, ma qui si misura con la melodia di un autore che ha sempre scritto per i più grandi crooner: Jimmy Van Heusen, quattro premi Oscar, la firma su standard come Only The Lonely, Come Fly With Me, September Of My Years, Like Someone In Love (che qualcuno conoscerà nella versione di Bjork). In questa laconica (e un po’ cocciantesca) descrizione di una “maneater”, Bryan Ferry avrebbe enfatizzato il pathos e lo struggimento, ma Dylan coglie nel tono dell’originale di Frank Sinatra una sfumatura di consolazione, e sceglie di privilegiarla. Così il pezzo si ammanta di una mesta, gracchiante dolcezza che nei cantanti del futuro, macchine da gorgheggio, non troveremo più. Sarà più facile che, dopo aver vinto un talent, ricevano un Nobel.