È giusto premettere che il personale astio di chi scrive nei confronti di questo team di compiaciuti frullatori del grottesco pop non è facilmente accantonabile. E tuttavia, i milioni di visualizzazioni ottenuti da ogni precedente intrapresa del gruppo australiano inducono a misurarsi con il loro nuovo regalo al mondo, tanto più che dopo 16 anni (sì, sedici) hanno completato il loro secondo album Wildflower (voto 8,5 per Pitchfork, il che significa sempre che un album è noioso e borioso come Dio comanda). Il singolo Frankie Sinatra, col suo video ad alto budget gaudiosamente truculento, sembra pensato per deliziare tre generazioni di pubblicitari in cerca di caustici ammicchi. Contiene una ben calibrata dose di straniamenti musicali: l’elettronica si mescola a riferimenti abbastanza pretestuosi al calypso, Sinatra non è campionato ma il suo nome è infilato in un carnevale di campionamenti (cioè l’antitesi del concetto tradizionale di The Voice). Complessivamente, niente di particolarmente significativo a meno che ribadire lo stato dell’arte non costituisca un merito in sé. Però è vero che potevano fare di peggio, e che dopo un po’ il noioso refrain diventa — conoscete la parola — virale.
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