Dicono che ci sia da fermare un cattivone vero: Donald Trump, mica un Renzi qualsiasi. Così, due pesi massimi della musica americana di protesta hanno unito le forze. Inebriati dalla nostalgia dei propri vent’anni, e legittimati da una lettura della politica Usa figlia di quattro stagioni di House of Cards, molti ascoltatori brizzolati li hanno già accolti come i nuovi messia del rock & impegno sociale. Tuttavia, il matrimonio fra Rage Against the Machine e Public Enemy — e un pizzico di Cypress Hill — funziona così bene sulla carta che rischia poi di deludere a conti fatti. Valuteremo il loro vero impatto a prescindere dall’esito delle elezioni presidenziali; per ora Prophets of Rage svolge il proprio compito senza sbavature, ma anche senza far miracoli. La sirena, i riffoni sincopati, gli effetti di chitarra, il groove geometrico, le rime rabbiose e incalzanti: fin troppo annunciati, gli ingredienti di base sono questi. La formula viene eseguita con maestria e personalità e non merita di essere sbeffeggiata, a onor del vero. Resta solo da chiedersi se, nel 2016, tutto ciò basterà per «make America rage again» (o anche solo per far scapocciare qualche sedicenne annoiato).