Un qualunque side project trova la sua ragione d’essere nel momento esatto in cui riesce a rivelarsi come qualcosa di diverso da un mero prodotto derivativo. Allo stesso modo, il concetto di supergruppo lascia il tempo che trova se la somma degli addendi non risulta almeno un infinitesimo superiore a quella che la matematica suggerirebbe. Due esempi lampanti (in positivo), questa settimana: gli Smile, costola dei Radiohead che ormai vive di vita propria senza il minimo imbarazzo, e i 3rd Secret, che guardano oltre Seattle in direzione Fatima, miracolosamente capaci di scrivere un nuovo capitolo della saga grunge, al di là delle singole esperienze con Soundgarden, Nirvana e Pearl Jam. Che dire poi dello strano trio Ranaldo + Comelade + Prats? Si fanno chiamare Velvet Serenade e a modo loro si prendono la briga di omaggiare Lou Reed, i Velvet Underground e Nico.
Ma, anche senza andare a cercare colleghi famosi a cui proporre nuove strabilianti collaborazioni, se un ritorno è fatto in grande stile, all’insegna del talento e soprattutto dell’onestà intellettuale e della coerenza con se stessi, massimo rispetto. È il caso degli Slowdive, che continuano a guardarsi le scarpe con la consueta classe fuori dal tempo, di Vincent Damon Furnier, che non smette di giocare al dad rock nei panni di Alice Cooper, dei Bombay Bicycle Club, ricomparsi all’insegna di una ritrovata serenità cazzeggiante dopo una pausa di riflessione che aveva fatto temere il peggio, e di Cornelius, pioniere dello shibuya-kei, che dal Sol Levante chiama in causa George Harrison per ricordare lo scomparso Yukihiro Takahashi.
Il resto è Italia e dintorni. Andrea Calvo, sotto lo pseudonimo di Grand Drifter, ci regala caramello pop folk dal gusto inconfondibile. Gli Wear Sunglasses for Apocalypse ci avvolgono in una cappa gelida di dieci minuti di post-rock strumentale. Alessandro Grassini chiama Matteo Lotti per farsi aiutare a completare il suo manifesto di disillusione — sempre e comunque senza arrendersi, s’intende.