Che quello di Kazu Makino e dei fratelli Pace fosse qualcosa di più sperimentale di semplice indie rock, era chiaro fin dagli inizi. Dopo quasi trent’anni di carriera tornano a dichiararlo esplicitamente nel loro nuovo singolo, con inequivocabili parole nel titolo, con la consueta maestria nella composizione. Maestria che certo non manca né a Matt Elliott, solista post-Third Eye Foundation, ormai completamente a suo agio nei panni di guru del dark folk cantautorale, né a Faye Webster, già punta di diamante di una folta accòlita di ragazzette che al folk guardano invece con occhi estremamente pop.
Dicevamo folk? Non confondiamolo con il country. Se avete difficoltà a distinguere le due cose chiedete lumi ai veterani Turnpike Troubadours o a qualunque loro fan di lunga data che li ha seguiti sotto i palchetti di ogni honky-tonk. Dicevamo sperimentazione? Seguite il ritmo dettato dalle bacchette di Valentina Magaletti, cervello in fuga dall’Italia che, dopo infiniti progetti e collaborazioni, torna a incrociare i neuroni con l’elettronica di Al Wootton dietro la firma Holy Tongue. Vogliamo poi unire le due cose e parlare di folk sperimentale? Evochiamo allora The Mon e la preghiera pagana, oscura e romantica, che recita insieme a CHVE e Sarah Pendleton.
Dicevamo Italia? Ecco il turno di un hip hop affollatissimo e ben radicato nel Belpaese. Charlie Charles chiama Ghali, Thasup e Fabri Fibra per mettere nel suo pot-pourri i Beatles, Mina e Michael Jackson, mentre Ensi e Nerone portano sul ring un equilibratissimo incontro tra King Kong e Godzilla: scommesse aperte!
A concludere il quadro, due estremi opposti: il rock strumentale che quasi liscia il pelo al post-metal di SOARS, progetto in solitaria di Kristian Karlsson, e il doo-wop fatato ai limiti dell’arte di strada degli Stornoway.