Non se ne esce: come Ed Simons e Tom Rowlands tornano a toccare la consolle, si crea una bolla sonora ormai fuori dallo spazio e dal tempo dentro la quale puoi solo muovere il culo e ritrovarti, senza nemmeno rendertene conto, con un sorriso ebete sulla faccia. Mica come quella ragazzina che da Starbucks frigna sul suo caffellatte ancor prima di versarlo, dando così a Russell e Ron Mael l’ennesimo motivo per prendersi amaramente gioco dell’uomo moderno: tenero, buffo, fallibile, stupido fino all’eccesso e soprattutto mortale.
Perché sì, la gente muore, come ci ricordano delicatamente i Sick Tamburo, per la prima volta senza Elisabetta Imelio, ma per una volta insieme a Roberta dei Verdena. Oppure la fanno morire, la gente, come denuncia Vipra insieme al fantasma di Mia Martini, in un pezzo che – possiamo sbilanciarci – non avrà la fortuna commerciale e la visibilità che meriterebbe.
E allora le reazioni possibili sono due. O prenderlo a bombe in faccia, questo mondo infame (chiedere alla combo Kreator & Lamb of God o al nerboruto metal progressivo degli Ice Age), o scioglierlo nella dolcezza (quella soul, sexy e made in Colombia di Kali Uchis o quella profumata di fado portoghese di Marlene Ribeiro – a voi la scelta, ma perché non entrambe?).
Per tutto il resto, come sempre, c’è l’indie rock: sa di lo fi vagabondo se viene dalla stanza dei feeble little horse, di potpourri sperimentale, caldamente consigliato da Robert Smith, se lo suonano gli Opus Kink.