Mentre i Nanowar of Steel portano avanti la loro missione dissacratoria nei confronti del metallo senza guardare in faccia a nessuno (a questo giro lo trapiantano in disco come se quello fosse il suo habitat naturale), c’è anche chi i riff davvero pesanti li prende invece sul serio. Vedi alla voce Earth Groans, che aspettano il metalcore fuori dal liceo per bullizzarlo con mascolina seriosità, e Kamelot, che – coerenti con il proprio nome – provano a riportare in auge il power fantasy, nella sua versione epica, dura e per niente incline a prendersi per il culo.
Sull’altro lato della medaglia troviamo la gente che, per contro, si dedica anima e corpo alle cinquanta (ben di più, in realtà) sfumature di elettronica. Quella mascherata di darkwave dei Severity 322, quella autorevisionista di Martin Dupont, quella contaminata e indefinibile (diciamo afro-urban, giusto perché appunto può significare tutto e nulla) di Pö.
Ovviamente poi non può mai mancare qualcuno che finirà per essere accusato di essere un po’ troppo derivativo, ma i Tigercub la lezione dei Queens of the Stone Age l’hanno imparata quasi meglio dei maestri, e i bdrmm non saranno i Radiohead, eppure chi può biasimarli se hanno capito che la strada per trovare la loro identità passa proprio da quelle parti?
Per concludere, un po’ di calma e di pace, ché ce n’è sempre bisogno. Hum Evans torna a vestire i panni di H. Hawkline e ci regala un altro frammento di grande folk pop autoriale, accanto all’appena maggiorenne Hannah Jadagu, che spinge piano ma senza titubanze su una chitarra leggermente elettrica, finché non puoi fare a meno di entrare in sintonia con lei.